Parola d’ordine: lamentarsi.

La scorsa settimana sono stata oggetto di una serie di variazioni sul tema dell’influenza.

Mentre languivo a letto, un lieve malcontento ha iniziato a farsi strada nella mia casa.

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                                                                                                 -Miss Piggy di Anatol Kotte

La fonte di tale sentimento, in parte, è stata interiore- mi sentivo un po’ inutile-, in parte, è da ricercarsi in fattori esterni, come la sottile ironia, mista a fastidio, per il mio mancato supporto nella gestione degli affari domestici.
Da questo episodio, ho avuto un’illuminazione, che ho dovuto condividere con i miei familiari, in quanto responsabili: sono stata educata male.
Non c’è altra spiegazione: i miei genitori hanno sbagliato. Non mi hanno insegnato la regola aurea dell’esser donna: non mi hanno insegnato a lamentarmi! Anzi!
Certo, so essere anche io la “donzella in difficoltà”, all’occorrenza, ma non so approfittare di questa situazione, se non in maniera effimera. Ad esempio, sul posto di lavoro mi capita spesso di dover usare oggetti che non sono alla mia portata, anche perchè sembra sia divertente mettere ciò che mi serve almeno a 180 cm da terra, visto che, nella mia interezza, senza tacchi, ne misuro 164, 168 sulle punte dei piedi. In questi frangenti, è ovvio, se non ho a portata una scala, uno scaleo, una sedia o comunque un mezzo di elevazione, mi servo del collega più vicino e più alto per farmi aiutare,  basandomi sul suo maschio senso di protezione e, di conseguenza, dimostrandomi indifesa come Biancaneve agli occhi del cacciatore. In ogni caso, non sono una professionista. Mi limito.
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                                                                                                -Biancaneve di Annie Leibovitz

Lamentarsi è un’arte. Un uomo ha bisogno che una donna si lamenti. Gli serve per sentirsi virile, per potersi, a sua volta, lamentare con gli amici di quanto la sua compagna/ fidanzata/ moglie/ essere di sesso femminile, con cui intrattiene rapporti di dubbia moralità, sia pesante, per dare uno scopo alla vita, per giustificare la presenza di un’amante.
Un uomo senza una donna lamentosa è come una donna senza un armadio pieno di scarpe con il tacco.  È triste, inguaribilmente triste ed inutile.
Perciò, bisogna lamentarsi di tutto, battere i piedini come Rossella O’Hara in “Via col Vento“, far sudare ogni singolo attimo di calma e serenità. Rhett non era niente male, eppure Rossella gli faceva cadere dal cielo anche un saluto ed era una lamentela continua, ma lui, prima di pronunciare il celeberrimo “francamente me ne infischio” ci ha messo 4 ore cinematografiche, che, in anni umani, sono ere geologiche.

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Minimizzare non serve. Piangere, con moderazione, aiuta.
Non esagerate con il pianto, perchè il 90% degli uomini non sa gestire una donna che piange, va nel panico e rischia lo shock anafilattico. Come le fatine di Hook, ogni volta che una donna piange, un uomo muore. Quindi regolatevi, a meno che non abbia un’assicurazione sulla vita intestata a voi.
Per il resto, approfittate di ogni occasione utile per lamentarvi, ma fatelo quando siete a tu per tu, in modo che non ci siano prove.
Non ve ne pentirete.
Il lamento è la chiave della felicità.

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